Siamo
arrivati a Foroglio. Abbiamo deciso che, paradossalmente, d'ora in
avanti sarà bene avanzare attraverso i passi e scalando le montagne.
Ma non per gli zombie, quelli non li vediamo più da diverse ore
ormai. Per la neve. Camminare a valle è faticoso, sprofondiamo fino
alle spalle e ci bagniamo; poi, nei posti più ombreggiati, veniamo
frustati dal vento e rischiamo di morire di freddo. In cima ai monti,
invece, c'è più sole e la neve è ghiacciata. Fatichiamo sulle
salite, d'accordo, ma perlomeno non dobbiamo creare dei sentieri tra
cumuli e cumuli di neve aiutandoci con le braccia e pale di fortuna.
Ieri,
dopo aver superato Bosco Gurin, ci siamo addentrati nella val
Calnegia e ci siamo sistemati al rifugio della Crosa, nei pressi del
laghetto. Erano appena le 15 e visto che il pericolo di attacchi qui,
nel mare bianco della montagna, è praticamente scongiurato ci siamo
concessi un po' di tempo libero per passeggiare nei dintorni. E io ho
trovato anche qualcosa di interessante, poche centinaia di metri a
nord ovest: una bocchetta lungo il confine dove qualche spallone ha
lasciato della merce, forse in attesa di un corriere.
C'erano
tre o quattro pacchi di zucchero, un paio di bottiglie di grappa e
due stecche di Marlboro senza tutte quelle scritte sul pericolo di
morte e il rischio di impotenza.
Dovranno
avere almeno una decina d'anni.
Proprio
un peccato che io non fumassi, ma ho comunque raccolto il bottino,
perlustrato anche i dintorni e sono tornato al rifugio. Quando ci
siamo trovati tutti nel salone davanti al camino acceso, ho fatto lo
splendido svuotando il contenuto del sacco sul tavolo. Occhi
sgranati, bocche aperte.
“Ma
dove hai trovato tutta 'sta roba?” mi ha chiesto Bruno.
“Be'...”
e ho raccontato l'intera storia, tra un bicchierino di grappa e
l'altro. “Il sale teniamolo, che potrebbe sempre servirci nei
prossimi giorni. Non si sa mai. Riguardo alle sigarette... Qualcuno
qui fuma?”
Viola,
Bruno e Veronica hanno scosso la testa. Goffredo è rimasto fermo, lo
sguardo basso.
“Okay.”
Ho preso entrambe le stecche in mano e mi sono diretto verso il
camino. “Allora tanto vale gettarle nel fuoco per scaldar–.”
“FERMO!”
ha tuonato Goffredo, alzandosi. Abbiamo smesso tutti di respirare, il
tempo si era fermato nel rifugio della Crosa. “Io fumo.”
“TU?!”
abbiamo detto in coro.
E
così, dopo la mia storia, è stato Goffredo a raccontarci la sua tra
una boccata e l'altra. E non aveva niente a che fare con re Rabadan e
tutte quelle cose viste a Bellinzona. Il suo vero nome è Martino,
viene da Foroglio. Lì gestiva un'osteria alpina chiamata La Froda,
poi quando è iniziata l'invasione dei morti viventi ha riempito lo
zaino di salumi e si è spostato più a sud verso Bignasco, poi
Maggia, Locarno, Monte Carasso e Bellinzona, dove ha barattato
l'accoglienza al castello con una mazza e tre salami.
“Ma
in cantina ho ancora qualcosa, se mai dovessimo arrivarci” e tutti
avevamo l'acquolina in bocca, visto che quella sera ci sono toccati i
piselli in scatola.
Questa
mattina, fiuu, dovevate vederci come filavamo sulla neve,
tutti con l'immagine di questa fenomenale cantina dell'osteria di
Martino. In testa c'era proprio lui, seguito da Bruno e Viola. Io
sono rimasto qualche passo indietro un po' per solidarietà verso
Veronica, un po' per il peso dello zaino che ora conteneva anche i
tre o quattro chili di sale. Quando distavamo una trentina di metri
dal gruppo di testa, mi ha poggiato la mano sul braccio e ha portato
l'indice e il medio della mano sinistra sulle labbra, con un occhio
puntato su di me e uno su suo padre.
Voleva
una sigaretta, fumava di nascosto.
Le
ho sorriso e annuito.
“Bruno!”
ho gridato.
“Sì,
dimmi” ha risposto voltandosi.
“Ci
fermiamo un attimo, prendo fiato.”
Anche
loro si sono bloccati. “Vi aspettiamo?” ha urlato Viola.
“Ma
no, andate pure. Rimane Veronica a farmi compagnia. Cinque minuti e
riprendiamo.”
“Va
bene” e sono ripartiti.
Ho
aspettato che girassero dietro una roccia e ho appoggiato lo zaino a
terra. Ho aperto un pacchetto, sfilato una sigaretta e l'ho allungata
a Veronica. Poi le ho fatto accendere dal mio Zippo. Lei si è sporta
e ha tirato la sua prima, goduta boccata da chissà quanti giorni. Ha
tossito un paio di volte, poi ha ripreso e se l'è fumata tutta nel
giro di una novantina secondi. Ne ha voluta un'altra, e questa se l'è
goduta già di più.
Alla
fine ho messo via tutto e mi sono rimesso lo zaino in spalla.
“Pronta?”
le chiesto facendole l'occhiolino.
Lei
è rimasta in silenzio, ma mi ha sorriso e un raggio di sole le ha
illuminato il volto. In quel momento ha sbattuto tutte e due gli
occhi contemporaneamente, probabilmente per colpa della luce intensa,
ma io l'ho preso come un doppio occhiolino. Stavamo facendo amicizia.
Che
cosa rimane da raccontare? Alla fine a La Froda ci siamo arrivati, e
anche se la cantina era stata depredata Martino aveva due o tre
cantucci segreti che hanno garantito vino, mazze e salumi per tutta la
serata. E ora scusate, vado a dormire: la testa mi gira un bel po' e
domani ci sarà ancora un bel po' da marciare.